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Sulla rivista Girotondo: televisione cattiva maestra

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Ma che aspettate a battere le mani?

Proprio a poca distanza dalla morte di Dario Fo riflettere sulla televisione come “cattiva maestra” risulta stimolante poiché ci ferma alle nostre responsabilità di adulti. A 52 anni posso dire di aver assistito alla mutazione antropologica di un elettrodomestico che, da strumento agglutinante, come insegna Tullio De Mauro, di una cultura nazionale in via di formazione, è diventata il simulacro di una società decaduta in tutti i suoi valori di solidarietà, dedita alla celebrazione narcisista e al raggiungimento del proprio interesse individuale.

L’elettrodomestico, pur mutato nelle forme e nella componentistica, di per sé non ha nulla di malvagio, tuttavia, ciò che è cambiato è stata la sua progressiva centralità nel quotidiano di un tessuto, prima sociale poi familiare, sempre più isolato e disorientato. Orwell l’aveva anticipato senza sbagliarsi di molto: omologazione e controllo fanno di ognuno di noi gli oggetti ideali di un sistema che ci vuole desideranti produttori/consumatori di beni materiali e immateriali finalizzati a renderci soggetti sempre più distanti da un pensiero critico e individuale.

In tutto questo dove finiscono i bambini? In un “buco nero” nel quale i molteplici supporti elettronici diventano sostituti genitoriali virtuali a cui affidiamo i nostri figli nei momenti di stanchezza, per poi magari lamentarcene quando cerchiamo richiamare la loro attenzione “possibile che tu sia sempre attaccato a quel coso?”.

Ragionare di quali potrebbero essere i contenuti più consoni alla crescita di un bambino mi sembra una falsa questione, quasi che una dipendenza dovesse trovare un modo di sciogliersi mutando l’oggetto della dipendenza stessa.

Se le dipendenze parlano di assenze di cui cercano sostituti, appare chiaro che se non si risponde alla mancanza, si sostituisce solo la sostanza.

Non credo che sia l’elettrodomestico l’oggetto da bonificare, bensì il nostro quotidiano, costantemente minacciato da “paure sociali indotte” e affanni quotidiani che ci portano ad una drammatica mancanza di tempo, conseguenza che c’impedisce in primis, di costruirci un pensiero critico su quanto accade intorno e dentro noi e ai nostri figli.

In questo trambusto, la televisione, i tablet, gli smartphone possono costituire il mezzo per ciò che Lacan chiamava “il discorso del padrone” e che Dario ci mostrava come avesse agito nel corso dei secoli… sta a noi usarli come eccellenti strumenti di libero pensiero in grado di metterci in contatto con storie, prodotti dell’ingegno umano e naturale d’incredibile potenza.

È nostra responsabilità emanciparci in quanto adulti dal senso comune aiutando i nostri figli nella costruzione di uno spirito critico, senza cercare di “insegnare ai bambini”, ma condurli verso un loro pensiero autonomo… per dirla con Gaber: “Non insegnate ai bambini, non insegnate la vostra morale è così stanca e malata, potrebbe far male […] non indicate per loro una via conosciuta, ma se proprio volete, insegnate soltanto la magia della vita […] Non insegnate ai bambini ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all’amore, il resto è niente”.

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